LA CHITARRA TRA CLASSICA E JAZZ

LA CHITARRA TRA CLASSICO E JAZZ COME PROCESSO CREATIVO-EMOZIONALE

L’argomento che stiamo per affrontare è un aspetto importantissimo e delicato riguardante i chitarristi di formazione classica, che si avvicinano allo studio e all’impiego della chitarra nel jazz.

Le sottili dinamiche psicologiche che ne sono sottese, le valenze profonde e gli infiniti, diversi, risvolti non solo creativi che ne possono derivare, possono sicuramente influire sulla loro formazione globale. E di certo influiranno su quelle future.

Per il giovane allievo di chitarra il rapporto con l’insegnante riveste un’importanza enorme e segna in modo perenne una parte della sua evoluzione, in quanto agisce sulla sua capacità di acquisizione di cultura e informazioni, condizionando la sua visione del mondo e il suo stesso atteggiamento di crescita e determina in parte la sua possibilità di avvicinarsi in modo coinvolgente e creativo alla musica.

Il rapporto allievo maestro nello studio della chitarra è davvero forte e ricco di implicazioni complesse, anche perché si sviluppa negli anni della crescita e partecipa quindi di tutte le implicazioni psicologiche che intervengono nel processo di creazione di una personalità. Cercare di sviscerarne le problematiche e le implicazioni potrebbe, forse, illuminare un aspetto della musica troppo a lungo assente dai dibattiti e dalle disquisizioni ufficiali, troppo spesso lontano dalla considerazione che merita.

Quando l’allievo intraprende il suo corso, instaura un rapporto continuativo con il suo insegnante e vede nel maestro una sorta di guida, un riferimento assoluto. Il primo periodo rappresenta per l’allievo spesso una fase di emulazione. Chiaramente, superando questo periodo, vengono superate anche queste tendenze: con il passare del tempo, questo rapporto di vincolo deve andare sciogliendosi anche perché l’allievo matura.

Quando tutto procede secondo evoluzioni non traumatiche, la cosa che di solito capita è che, in qualche maniera, l’allievo cerchi la propria identità. Questo processo è da intendersi in linea e in sintonia con il più generale processo d’individuazione e creazione di una personalità autonoma, matura e integrata.

In sintesi, come ho accennato all’inizio, ogni riflessione sul rapporto allievo maestro presuppone una ben più profonda riflessione sulle dinamiche psicologiche ed emotive che costantemente intervengono in tale rapporto. Nel momento in cui l’allievo smette di identificarsi nell’immagine del maestro e cerca, attraverso anche tentativi ed errori, di costruirsi una personalità autonoma, seppur appena abbozzata, inizia una fase importantissima per la sua crescita e maturazione psicologica. Il continuo e costante contributo del maestro, che agisce da elemento di confronto, stimolo e crescita, ovviamente non deve mai mancare, ma il trapasso dal ruolo di discepolo fedele ad alunno operativo e creativo costituisce una tappa obbligata.

È fondamentale trasmettere una prospettiva musicale ampia, in grado di contenere suggestioni anche molto diverse tra loro e molto lontane dai mondi musicali generalmente coinvolti nella pratica della chitarra classica, studiando qualsiasi musica o repertorio, capace di stimolare la creatività musicale.

Il tipo di rapporto che va instaurato con gli allievi non deve essere esclusivamente rivolto alla trasmissione di valori musicali e lo sforzo didattico non deve essere finalizzato a favorire l’acquisizione di un patrimonio musicale tecnico-contenutistico.

Due sono gli elementi da considerare. Il primo consiste nella necessità di trasmettere all’allievo le chiavi di accesso per la comprensione della specifica sensibilità e visione del mondo che si trova alla base di ogni forma di espressione artistica. Da questo discende la necessità ulteriore di un approccio didattico globale, atto a stimolare un generale avvicinamento all’arte, non solo alla musica, perché per essere in grado di cogliere la visione del mondo di una specifica creazione artistica bisogna essere capaci di decodificare numerosi e diversi messaggi creativi. II secondo elemento si traduce invece nell’importanza di stimolare nell’allievo una crescita personale come individuo del suo tempo, portatore di una visione propria, immerso in una realtà che va conosciuta e vissuta e che non può certo limitarsi alla realtà della chitarra legata alla cultura classica. È dal totale che deve discendere la conoscenza specifica, perché il passaggio opposto rischia di far perdere troppe cose per strada e di spingere ad una visone parziale e incompleta. E da questo approccio didattico discende la capacità del maestro di infondere nell’allievo la disponibilità all’ascolto totale della musica e in quindi anche del jazz.

Le pagine che riassumono il meglio di qualsiasi epoca storica, aiutano a immergersi nello spirito del tempo e a impossessarsi di riferimenti essenziali, tangibili, per qualsiasi allievo. Molto spesso, ancora oggi, gli studenti ascoltano musiche non condivise dal loro maestro e, per timore, tacciono certe scelte, certi gusti musicali. Oggi un insegnante ha l’obbligo di spingere verso un ascolto ampio, passando dal canto gregoriano all’ultima hit, o dal repertorio più suonato a quello che è oggetto dì prime esecuzioni, senza porre né limiti stilistici né paure psicologicamente traumatizzanti. Quindi i dischi che un allievo possiede dovrebbero essere idealmente catalogati in ordine alfabetico, non per stili: a fianco di Shostakovich potremmo trovare Sting, accanto a Weber potremmo trovare Stevie Wonder. Questo per dare la possibilità all’allievo di scegliere liberamente.

Il maestro di chitarra deve essere in grado di controllare l’influenza che esercita sui suoi allievi, deve evitare che la fase di emulazione spenga la loro personalità artistica e alteri le loro caratteristiche psicologiche: il maestro deve quindi, in sintesi, spingere i suoi stessi allievi verso una forma di elaborazione autonoma e personale dei contenuti tecnici, culturali ed umani che trasmette.

La possibilità di proporre in modo non categorico la propria didattica, consente all’insegnante di considerare, esplorare e adottare qualsiasi repertorio con conseguente approccio tecnico-strumentale, dato che esistono molti modi di rapportarsi alla musica, tra loro diversi eppure ugualmente degni di considerazione. Si tratta di una concezione che esemplifica una visione globale, etica, estetica e sociologica dello studio della chitarra classica nel jazz e per cercare di capire come si traducono, nella pratica, le profonde concettualizzazioni che caratterizzano l’approccio alla musica jazz, la questione di scelta del repertorio può esserci di grande aiuto.

Il modo di eseguire costituisce un momento fondamentale che non può dirsi risolto una volta per tutte ma che deve sempre essere passibile di evoluzione e mutamenti.

Per l’allievo non deve essere solo un mero discorso di studio e di acquisizione di conoscenze, ma è un argomento che implica una continua riflessione su se stessi e sulla propria sensibilità artistica.

Infatti, da un certo momento in avanti, superati i primi passaggi tecnicamente fondamentali per risolvere le questioni basilari, da un punto di vista strettamente musicale è importante acquisire una profonda conoscenza del maggior numero delle più diverse composizioni musicali, anche lontane dal mondo della musica jazz. L’allievo va stimolato a confrontarsi con quanta più musica possibile, perché ascoltare tanta musica vuole anche dire arrivare a sentire la musica con le mani, le orecchie, il cervello e il cuore.

L’esecuzione prefigura soprattutto una riflessione di carattere etico e personale, perché l’allievo quando suona deve essenzialmente raccontare e raccontarsi attraverso un momento emozionale.

La scelta del repertorio non è data una volta per tutte, ma è qualcosa che si rinnova e si evolve in sintonia con i mutamenti intellettuali e personali degli allievi. È importante un discorso di appropriazione, personalizzazione e manipolazione del repertorio, attraverso il recupero, l’elaborazione armonica o polifonica di brani e canti, come per esempio quelli appartenenti alla tradizione popolare del mediterraneo o dell’America latina sempre ricchi di spunti melodici, che possono diventate il fulcro di un percorso di ricerca melodica che sicuramente coinvolge creativamente l’allievo.

L’atto di nobilitazione creativa e colta del repertorio popolare deve essere una costante nella musica jazz e si ritiene importante ed utile rendere un tema popolare ascoltabile e godibile, veicolando nell’orecchio degli allievi quei valori e quel portato emozionale e sociale. La possibilità di valorizzare ciò che spesso, erroneamente, viene considerato di più basso livello culturale, deve rispondere alle esigenze più profonde degli allievi di musica jazz e si sposa perfettamente con la ricerca di una musica del mondo, della vita, della gente, qual è il jazz, in opposizione a quella musica astratta dal reale, avulsa dagli stimoli sociali, chiusa e incapace di comunicare.


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MAURIZIO DI FULVIO

Maurizio Di Fulvio, originario di Serramonacesca, è nato a Chieti e risiede a Pescara (Italy). Dopo il diploma in chitarra classica, si è formato artisticamente con musicisti come J. Bream, A. Carlevaro, J. Scofield, P. Metheny e ha ottenuto primi premi e vari riconoscimenti in concorsi internazionali. Svolge una brillante carriera concertistica, suonando soprattutto in Europa e in America nei festival più prestigiosi a fianco dei più grandi chitarristi e musicisti contemporanei, in qualità di solista e con formazioni varie. È stato docente di chitarra nei Conservatori italiani di Foggia, Verona e Padova e presso l’Istituto Pareggiato di Modena e molti dei suoi concerti sono stati registrati e trasmessi da emittenti televisive e radiofoniche di diversi paesi del mondo. È membro di giurie di vari concorsi di chitarra e tiene corsi di perfezionamento e master-class nelle Università e nelle istituzioni musicali europee ed americane sul repertorio chitarristico tradizionale e sull’impiego della chitarra classica nel jazz. Numerose sono state le attenzioni di importanti compositori italiani del nostro tempo, tra cui S. Bussotti, L. Berio, S. Sciarrino, che spesso gli hanno affidato la revisione, l’adattamento e l’interpretazione delle loro opere e significative sono le lodevoli testimonianze del pubblico e gli elogi ricevuti da importanti testate giornalistiche internazionali. La critica specializzata lo considera uno dei chitarristi più interessanti ed innovativi dell’attuale panorama musicale, definendolo …“versatile ed eclettico, dal temperamento caldo e spontaneo, abile improvvisatore e raffinato arrangiatore”, …“capace di leggere e restituire con la medesima forza ed intensità linguaggi assolutamente diversi”, …“la sua esecuzione, a volte grintosa ed energica, altre volte raffinata ed ornata, sempre in bilico tra rispetto della tradizione e innovazione”, …“è sorretta da un’innata eleganza strumentale”. …“Un’autentica saudade swing e fragranze mediterranee aleggiano nei brani incisi negli album: Sweety notes (2000), Mediterranean flavours (2003), A flight of fugues (2004), On the way to wonderland (2007), Carinhoso (2010) e ’a vucchella (2018)”. …“Nell’itinerario artistico confluiscono il jazz nero, il jazz latino, il rock, le tinte del classico e la sensibilità di un’interprete che coniuga in sè una tecnica solida e una raggiante vena compositiva. Di Fulvio assembla con il suo strumento un incredibile mosaico di note, spadroneggia sulle corde, si confronta egregiamente con maestri di calibro mondiale, arrangiando liberamente brani celebri di Gillespie e Jobim, Santana e Metheny, Porter e Pastorius e ancora Bach e Duarte, e rivela soprattutto le sue ottime doti di bravo compositore”.